mercoledì 15 dicembre 2010

Sileno furens



E viaggio sulle spalle del gigante, scivolo sulla schiena del lampo.
Io sono nel dente del serpente, nell’occhio dell’aquila in picchiata,
sono nel formicaio vivo, nella foglia paziente al sole,
sul fondo assassino della cascata.
Abbraccio il turbine del vento, raccolgo le lacrime sparse delle nuvole,
dormo sulla fiamma notturna del campo.
Io sono l’urlo nella furia del coito, la nevrosi del furore uterino,
le pareti bagnate della mia camera.
Sono nel frenetico dondolare delle corde, sono nel pugno del tamburo,
fra le scale dissestate dei monti, tra i vermi che mangiano casa,
nella zolla spaccata dal sole o nell’odore del momento passato.
Sono la peste che bacia il popolo, i grattacieli che girano in direzione del sole,
l’involuzione della specie, la regressione del sapiens.
Sono l’occhio che gira intorno al satellite, la membrana perforata che avvolge la terra,
nel nucleo incandescente, fra gli atomi sparsi del mio corpo.

venerdì 1 ottobre 2010

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Bocconcini di cianuro per i miei vicini e sane boccate di polvere d’amianto prima di andare a dormire. La zanzara proveniente dall’ipergigante del Cane Maggiore porta notizie confortanti. Il kaos probabilmente finirà, così mi ripete girandomi attorno. Su Antares intanto c’è una tempesta che aspetta con impazienza di scompormi in leptoni per creare una macchia bianca di cui farsi vanto in giro. Difficile non cascarci, decisamente troppo. L’affare fra di noi era saltato. Quando le dissero che gestivo il narcotraffico del pane e del sangue del mio pianeta non poté fare a meno di interessarsi alla cosa. Lo scambio sembrava equo e oltremodo interessante: la formula delle mie sostanze in cambio di un ciclo completo, Ofiuco compreso. Anche un idiota avrebbe accettato. La mia nube di formaldeide era stata mandata come d’accordo. Ma la stupida orbitante della supergigante rossa che voleva fottermi si era dimenticata di mettere a tacere l’ISM. Quelli parlano sempre, si sa. Non ci fu nemmeno bisogno di mandargli il solito kilo di antimateria. Così all’appuntamento per l’imburrata non si presentò nessuno. Indiavolata continua a mandare sulla Terra ogni molecola tossica che le passi attorno, convinta com’è che io sia lì.

lunedì 7 giugno 2010

A consumo zero


Vorrei un figlio di quelli che non si trovano in giro, nelle case, per le strade,nei negozi.
Un figlio che sia contento d’essere mio figlio e che non lamenti mai nulla. A consumo zero.
Un figlio ben messo, felice di far risparmiare, nato laureato, che boicotti i fancazzisti e i liberi pensatori, che
sia felice di evitare le sbronze, che si faccia da solo perché io non ho tempo o che forse sia semplicemente il mio pupillo fotovoltaico, non chiede nulla e mi dà tanto, va a letto presto ed è subito pronto, ovunque, magari.
Lo voglio largo di spalle e con le mani sempre tese verso le mie buste della spesa, così sua moglie un giorno mi ringrazierà… Che brava! Che amore! E lui… che uomo!
Lo vedo già assennato a criticare gli amici che hanno preso il vizio, sorridente alle feste a parlare di sport: si scusa, fa un cenno col capo e saluta i presenti indicando col dito l’orologio col suo cinturino di plastica nera.
E’ entusiasmante, mio figlio. Varrebbe la pena di conoscerlo, mi creda. Sono sicura che anche lei vorrebbe avere un figlio come il mio bambino. Che tenero! Mi saluta sempre con un bacio in fronte prima di andare a lavoro. E’ così, lui, felice del suo stipendio, della sua auto, di casa sua, di me.
Sarà forte,preciso, acuto e ben vestito. Non appena nato gli cucirò addosso la prima lamina di piombo coi fili di rame che gli regaleranno le zie e quando poi inizierà a crescere gli farò saldare la sua iniziale sul petto, piccola, dorata e coi contorni in stagno. Lo pulirò per bene, lo smonterò ogni fine del mese, passerò il cotton fioc in mezzo ai suoi circuiti…e il sabato, sì il sabato, gli luciderò il suo alloggio memoria, dove ha messo tutti i ricordi di quanto l’ho voluto bene.

venerdì 19 marzo 2010

A Tamara


Una crisi e il tuo fiato corto mentre nuoti nell’absintismo e ciò che hai di meglio muore o forse viene solo nascosto e portato via, con gli eccessi di lucidità tutto è terrore e magicamente apparente, come la scoperta del vuoto ,come ogni stralcio di parola che ti esce di bocca, come quello che distrattamente non dico. Mi concedo strani pensieri e dipingo il mio corpo di brutti esempi nelle trasvolate spiccate dai sensi. Giù…giù e non basta, anche all’aria manca la forza di smuoverti i capelli e di picchiare sulle facce truccate di quelle mille troie adottate dai miei più cari salotti. Avrebbero di che parlare quelli buoni della città, avrebbero di che tirare se solo io soffiassi sui loro tavoli annebbiati. Incanti e paure, la pelle si indurisce, le gambe diventano marmoree, il profilo sembra animale e accende carboni che ardono accanto ai nostri incensi. Accompagnatrici delle ore buie, favole bugiarde, sussurrano coordinate per oltrepassare inibizioni ed enigmi, siano vortici o tempeste, ne ricorderai un giorno il senso e mieterai i tuoi aneddoti. Hanno strappato il velo e nessun tempo allontana il satiro dalla sua essenza, abbia da stuprare le vergini insanguinate o le sporche immagini dei tempi sacri, avrà semi da baciare e frutti da mordere, ne possa sempre l’istinto inondare gli argini. Ogni muro è spirale e incubo, in atmosfere dove i significati siano il mio mare e sputino l’odore più carnale di te. Una scritta molle rimare lì ferma a comporre la più feconda delle alchimie. La comune malattia è il mio ricovero, annegato ancora da queste lacrime bianche.

sabato 30 gennaio 2010

Il ballo di Geiger


Dentro le mie vene scorrono radiazioni di miti incandescenze, detonazioni controllate si alternano a rapidi scambi di materia. Si scioglie continuamente dentro l’acido che vorrebbe tanto uscire per macchiare in modo incivile e spregevole ogni lembo di pelle altrui. A ramificazioni periferiche ho miseramente dispensato le visioni che quotidianamente assumo dalle orecchie, sperando di sciogliere grumi di enigmi che mi si annidano dentro. Mi sono sforzato di accarezzare cellule impazzite e di rielaborare il proprio scopo; sono ticchettii deliranti, composizioni floreali d’uranio-235, sogni made in china. In un respiro supersonico ho tenuto per mano mia madre bambina… l’onda d’urto ha carbonizzato le palpebre di critici e spettatori, che digerivano le proprie lingue profetizzando la loro ricrescita. La tempesta nascente li ha spazzati via assieme alle loro ancore d’oro. In un istante ho visto le mie ombre proiettarsi, ricombinando tutt’attorno l’ordine smarrito dei soli, fra albe meccanizzate chi ha bisogno di un drink? Mi circondavo già di qualcosa di temporaneamente assente e lungo le orbite più irrazionali potevi scorgere costellazioni di uomini meteora glorificare la loro solitudine. Equilibri alterati da reazioni a catena, galassie che implodono su sé stesse, come prigioni aperte, lasciano scappare i miei incubi . ..la paura più selvaggia mi abbraccia e mi stringe il collo… la fuga e l’angoscia, il colpo alle spalle, la corsa, la fuga, l’angoscia, la consapevolezza,la spirale, l’urlo, il terrore,la vertigine e poi il nulla.