sabato 7 dicembre 2019

Una serata perbene


Mi troverò seduto per caso attorno ad un tavolo, 
in una sera di un 25 dicembre qualunque, 
con Cioran, Sartre e Deleuze,
con la stessa certezza che hanno quattro conoscenti
che sanno che sarà giusto il tempo di un bicchiere.
Inizieremo con vaghe esternazioni, discorsi sul metodo,
esperienze dei primi anni d'università.
Qualcuno chiederà forse un altro goccio dello stesso.

Quando avremo finito di fare la diagnosi al mondo e capito che siamo spacciati
ci metteremo magari più comodi offrendo un ammezzato all'altro. 
Al terzo scotch spintonerò Emil che se la ride, dandogli dell'idiota.
Parlando uno sopra l'altro, inizieremo a scuotere i cicchetti coi pugni sul tavolo.
Quando il locale inizierà a svuotarsi e avremo finito la seconda bottiglia
Jean-Paul farà cenno al proprietario di lasciar le chiavi lì e togliersi dal cazzo. 
Con una sonora pernacchia intonata sull'ennesimo giro di Moanin'
alla faccia di quella puttana di Maria Antonietta 
proporrò un brindisi violento con cui rompere il bicchiere 
annegando il posacenere zeppo in un lago di cognac. 

Ci abbracceremo ridendo soffocati dal fumo, 
improvvisando con fierezza l'inno degli apolidi. 
E quando andrò a pisciare, promettendo cazzotti a tutti i presenti, nessuno escluso,
continuerò a scuotere il capo senza mai trovare il fottuto cesso. 
Tornando ancora con la patta aperta riprenderò ad annaffiare i miei baffi 
in quello che Gilles, santa madonna, ha versato più sul tavolo che nel mio bicchiere.

Albeggerà e tramonterà su di noi che sputiamo tabacco
blaterando ancora qualcosa di strutturalista.  
Brinderemo inneggiando fino alla fine dei tempi, fino allo spegnimento del sole,
fino al ritrarsi dell'universo, bestemmiando contro ogni molecola del creato,
finché il cosmo non tornerà al suo nucleo. 
La nuova genesi farà il botto di un Louis Roederer del '64.

sabato 31 agosto 2019

Solfuro di fosforo



È il caso di tralasciarsi,
di otturare le sinapsi e tornare in analogico.
Mostrare disinteresse e distrazione,
mordersi le mani fino al braccio
e continuare ancora in su.
Togliere il sale dove curi profonde le tue spezie.
Ritagliarsi lo spazio per l'abbandono,
mitigare il dubbio annegandolo felice,
e nell'ascoltare il rovescio, graffiarsi addosso d'un controintuito sparso,
d'una movenza opposta, del residuato di battaglie vecchie.
Se getterai su di me fumi, nutrirò semi di fiumi, lontano dai tempi, 
calato nella pietra perenne, dentro tronchi vivi.
Concepirò la tua terra, scaverò nude prigioni liberando tutti i tuoi servi.
Se punterai la tua prua su di me troverai il mio sole bagnarti dentro.
Se mi vedrai invecchiare qui,
se forse avrò cambiato nome
ed avrò sulle braccia il colore del legno secco, armeggiando con trecce di vimini,
chiamami col tuo nome, Dioniso.