giovedì 1 dicembre 2016

Geodetica (Nadir)



È necessario gettarsi nel buco,
spostare il magnete alla base e tenersi sobri.
Recita accorata l’avvertenza.
Captare il baricentro della stanza,
tracciare l’arco di silenzio fra sei trappole.
Abbandonare momentaneamente la superficie.

Potevo intonarla. Imitare la luce.
Fissarmi i piedi.
Mentire.

Come la geodetica, aspettare che la parete diventi soffitto.
Recitare le mappe o ingoiarle.
Sentire il passo lento del pianeta che ruota, la spinta che muove l’atmosfera.

Era il caso di una telemetria accurata.
Il sorriso del rabdomante,
intercetta la cartografia che irradia la conversazione.

È tutto qui.

La porta è acida. Un braccio nero.
Un lancio accurato.

Nadir.
Che te ne fai degli occhi aperti?

Il dado rotola.
Buonanotte.

giovedì 8 settembre 2016

Morfema-zero o del plastico disordine che è uno


Riprova.
Sforzati.
Riprova ancora.

Perché lo hai lanciato in aria?
Avevi il tuo lemma tra le mani, hai dimenticato il sintagma delle dita.
Nel cesto di Alzheimer bambino porti il tuo titolo.
Avevi il senso negli occhi, dormono aperti adesso.

Nè qui nè in altri pianeti la tua lingua arida serve.
Parlati alle orecchie, confeziona un terremoto. Riprova.
Ritorna al nucleo, pesca nel sonno, fa' boccheggiare l’iperbole.

Quale multimediale cecità il mutismo della plastica opaca?
Come si pronuncia la gravità del colore?
Sforzati ancora.
Annega nel paradosso.

Hai ingoiato il segno.
L’intero. La misura. La voce alle tempie.
Non ti vedo più.

Uno.

Il tuo posto vuoto ora trabocca.

lunedì 16 maggio 2016

Ricochet


Un costante bombardamento di secondi,
nel conflitto impaziente che mastica una raffica di minuti.
Il conto alla rovescia giunto al meno uno.


La tattica inutile nel pianto dei calcoli.

L'impulso binario che slega gli istinti.
Il panico, posato sullo sterno, prepara i coscienti.

L'innesco.


Accende i demoni dentro le polveri,

ispira gli acidi, muove veloce le torri, vede la luce del giorno,
mira nel centro del cerchio, buca il bersaglio, svuota il cilindro infiammato, sfugge soddisfatto alla canna.


La percezione del colpo è solo un rimbalzo cosciente.

Farsi spazio fra la carne, dividendo vuoti.
Celebra il sangue adesso, ubriaco del suo danno.


Il peso degli arti.

Il crollo sotto la frana dei nervi.
La sinfonia metodica del collasso.

Ricochet.


Dov’eri finito? Ti stavo cercando.

mercoledì 9 marzo 2016

Diomede Alpha



Un crollo.
Perfetto.

La limpida detonazione della galassia alle mie spalle.
Né soffi, né lamenti.
Neppure il bagliore della genesi.

Rivolgo lo sguardo verso il terzo sole.
Il 33 giri continua a masticare Planet caravan.

La valvola acustica segna il mio centosettantunesimo compleanno
sul calendario lunare di Kepler 452.
Ketamina doppia oggi.

Il collasso era la speranza, una volta.
La processione della materia informe, nello stomaco del buco nero.
“Marte 01, Diomede Alpha in orbita, mi ricevete?”
Ne ho dimenticato il senso.

Sono morto a metà di questa pagina
Il mio tempo non era il suo.  

Tavor


Non ci è dato sapere perché ci mastichiamo come foglie di coca, ogni notte prima di prendere sonno.
Nel serrare occhi carbonici o sprangare una palude, il teatro mistico e le danze pessime dei presenti. La combinazione di acidi che apre le porte ad un’anestesia inutile.
Fosse una morte veloce dimenticherei il perché e gli sforzi annessi.
Il pilastro più alto della terra sulle radici di uno sciocco se.
Un chilometro d’aria riempito di bestemmie. Forse il razzo partito adesso dal comò.
Ed aeroplani su navi dentro viaggi fra le stive di navicelle prima del mattino e mai come adesso gusterei un bicchiere di logica.
La parete scura davanti a me si infittisce, si chiude la maglia delle possibilità, diventa univoca.
Un sapore di rimpasto fissa il proprio ordine per un attimo, fosse un varco appena aperto, una via che non esiste.
Una marcia inesorabile, la cura spoglia ed ambigua, il tonfo a volte dietro il muro.
Galleggiano in bagno i semi di sequoia, nel liquido amniotico corroso e marcio.
Lo schiaffo, un ramo in testa, cavarsi gli occhi, un cenno allo specchio, lame sparse sul tavolo.
Inizia la notte.