venerdì 19 marzo 2010

A Tamara


Una crisi e il tuo fiato corto mentre nuoti nell’absintismo e ciò che hai di meglio muore o forse viene solo nascosto e portato via, con gli eccessi di lucidità tutto è terrore e magicamente apparente, come la scoperta del vuoto ,come ogni stralcio di parola che ti esce di bocca, come quello che distrattamente non dico. Mi concedo strani pensieri e dipingo il mio corpo di brutti esempi nelle trasvolate spiccate dai sensi. Giù…giù e non basta, anche all’aria manca la forza di smuoverti i capelli e di picchiare sulle facce truccate di quelle mille troie adottate dai miei più cari salotti. Avrebbero di che parlare quelli buoni della città, avrebbero di che tirare se solo io soffiassi sui loro tavoli annebbiati. Incanti e paure, la pelle si indurisce, le gambe diventano marmoree, il profilo sembra animale e accende carboni che ardono accanto ai nostri incensi. Accompagnatrici delle ore buie, favole bugiarde, sussurrano coordinate per oltrepassare inibizioni ed enigmi, siano vortici o tempeste, ne ricorderai un giorno il senso e mieterai i tuoi aneddoti. Hanno strappato il velo e nessun tempo allontana il satiro dalla sua essenza, abbia da stuprare le vergini insanguinate o le sporche immagini dei tempi sacri, avrà semi da baciare e frutti da mordere, ne possa sempre l’istinto inondare gli argini. Ogni muro è spirale e incubo, in atmosfere dove i significati siano il mio mare e sputino l’odore più carnale di te. Una scritta molle rimare lì ferma a comporre la più feconda delle alchimie. La comune malattia è il mio ricovero, annegato ancora da queste lacrime bianche.