Non ci è dato
sapere perché ci mastichiamo come foglie di coca, ogni notte prima di prendere sonno.
Nel serrare
occhi carbonici o sprangare una palude, il teatro mistico e le danze pessime
dei presenti. La
combinazione di acidi che apre le porte ad un’anestesia inutile.
Fosse una
morte veloce dimenticherei il perché e gli sforzi annessi.
Il pilastro
più alto della terra sulle radici di uno sciocco se.
Un chilometro
d’aria riempito di bestemmie. Forse il razzo partito adesso dal comò.
Ed aeroplani
su navi dentro viaggi fra le stive di navicelle prima del mattino e mai come
adesso gusterei un
bicchiere di logica.
La parete
scura davanti a me si infittisce, si chiude la maglia delle possibilità,
diventa univoca.
Un sapore di
rimpasto fissa il proprio ordine per un attimo, fosse un varco appena aperto,
una via che non
esiste.
Una marcia
inesorabile, la cura spoglia ed ambigua, il tonfo a volte dietro il muro.
Galleggiano in
bagno i semi di sequoia, nel liquido amniotico corroso e marcio.
Lo schiaffo,
un ramo in testa, cavarsi gli occhi, un cenno allo specchio, lame sparse sul
tavolo.
Inizia la
notte.
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